Lo sapevi?
Feste a casa Sforza
La cerimonia del Ciocco
In Castello a Novara, lo sappiamo, è difficile che gli Sforza abbiano passato un Natale, essendo questo più un Castello difensivo che un Castello per ospitare la corte. Tuttavia, sappiamo come i duchi di Milano, sin dai tempi dei Visconti onoravano, le festività natalizie grazie a una descrizione del 1440 da parte dell’umanista Francesco Fidelfo o più tardi in epoca sforzesca da Giorgio Valagussa, precettore dei giovani Sforza. In questi scritti pervenuti a noi si racconta come gran parte della nobiltà ambrosiana si riunisse al castello di Milano alla presenza dello stesso duca Filippo Maria Visconti, per assistere alla cerimonia del “zocco” e che il giorno seguente venivano distribuiti anche diversi doni.
Ma in cosa consisteva?
La sera della vigilia del Natale attorno al focolare possiamo immaginare il duca Francesco o negli anni seguenti Galeazzo o Ludovico che, fattosi il segno della croce, adagiava un grosso ceppo di quercia nel camino e vi poneva sotto un fascetto di ginepro e infine accendeva il fuoco.
Mentre il ceppo ardeva ( così per tutta la notte Santa, quella del Natale, di Santo Stefano, e in pratica nelle dodici notti successive al Natale, fino all’Epifania) venivano consumati dalle famiglie nobili inviate a Palazzo, i pani di frumento, che all’epoca era un ingrediente di grande pregio. Ogni capo famiglia ne serviva una fetta a tutti i commensali trattenendone una per l’anno successivo in segno di prosperità e continuità.
I resti del ciocco, trascorse le feste, venivano conservati per accendere il ceppo dell’anno successivo, mentre alla cenere si attribuivano grandi proprietà: si credeva che, sparsa sui campi, favorisse il raccolto, proteggesse dai fulmini, preservasse la fertilità e la salute.
La nascita del Panettone
Una delle leggende sulla nascita del Panettone è ambientata proprio durante una cerimonia del Ciocco ai tempi di Ludovico il Moro, nell’anno 1495.
Si narra che Toni, un umile servo della cucina di Ludovico il Moro, sarebbe l’inventore del dolce più famoso e caratteristico delle feste natalizie. Siamo nella Milano di fine ‘400.
E’ la vigilia di Natale e il capo cuoco degli Sforza, per distrazione, brucia il dolce destinato al banchetto ducale. Risulta allora provvidenziale lo sguattero Toni che, per golosità, aveva messo da parte un panetto di impasto della ricetta segreta del cuoco, arricchito con uova, burro, canditi e uvetta.
Il capo cuoco era scettico ma dovette ricredersi non appena i commensali assaggiarono questo dolce inventato così frettolosamente: “L’è ‘l pan del Toni” dissero tutti dopo averlo assaggiato Il dolce venne chiamato, per volere di Ludovico il Moro, “il pane di Toni”, da cui poi derivo il nome di Panettone.
Una piccola curiosità fuori dall’epoca rinascimentale: se la ricetta del Panettone è rimasta all’incirca la stessa, la forma è invece variata nei primi anni del 1900. Il dolce infatti originariamente era basso e veniva cucinato senza alcun tipo di stampo. Fu Angelo Motta che, ispirandosi probabilmente al dolce della tradizione russa Kulic, decise di fasciarlo alla base con della carta di paglia e di aggiungere burro e uova . Da quest’idea è nata la classica foggia “a fungo”.
Infine, tra i personaggi illustri golosi di Panettone ricordiamo Alessandro Manzoni e la sua seconda moglie Donna Teresa, abituali consumatori di panettone non solo a Natale. Teresa Stampa Manzoni era così appassionata del dolce che lo citava spesso nelle lettere al figlio Stefano, arrivando perfino a inventarsi il verbo “panatonare” per indicare l’atto di mangiare il panettone: «Di solito, sono appena levata ‑ avendo bene dormito ‑ bene panatonato ‑ …».
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